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Viaggio in Sicilia

27/02/2020

A San Teodoro, l’anima vagante di Borgo Giuliano

‘U casali. Così lo chiamano fra loro gli abitanti. Arroccato a 1.150 metri sul livello del mare, San Teodoro è tra i più piccoli comuni nel Parco dei Nebrodi. Viste dall’alto, le sue casette sparse qua e là sembrano pois colorati sul tappeto verde del monte Abate, mentre di fianco, girando lo sguardo, l’imponenza dell’Etna sovrasta l’orizzonte. Dall’anima agricola e dedita all’allevamento, San Teodoro è un paese tranquillo che oggi accoglie tra le sue viuzze poco più di 1.500 abitanti. Un carattere mite, il suo, che segue lo scorrere del tempo, tra feste religiose e una cucina a base di prodotti locali e genuini.

È spostandosi di qualche chilometro che l’interesse si accende. San Teodoro conserva infatti uno dei borghi rurali costruiti al tempo del fascismo nel contrasto del regime al latifondismo. Conosciamo insieme Borgo Giuliano.

Una vita sospesa

È il suo silenzio la cosa che più colpisce, un silenzio che in realtà porta con sé tanti rumori, quelli di una vita passata, ma non del tutto maturata. Basta prestare l’orecchio, aguzzare la vista e fare spazio alla fantasia: ecco lontano gli asini carichi di fieno che ritornano dalle campagne e intanto sotto un sole cocente i bambini escono da scuola. Le campane della chiesa che dettano il ritmo delle giornate, mentre d’inverno il freddo rende ancora più piacevole trovare riparo dentro le botteghe artigiane.
Borgo Giuliano è così, come tutti quei luoghi in cui, seppur il calendario vada avanti, le ragnatele si formino su ogni cosa e il degrado avanzi inesorabilmente, il tempo dell’anima sembra essersi fermato. Il passato è ancora tutto lì. Era il 1940 quando il regime fascista, agli sgoccioli della sua esistenza, decise di promulgare la legge per la colonizzazione del latifondo siciliano, la legge Tassinari, con cui cercò di contrastare il latifondismo a vantaggio dei contadini, che per il governo erano una base importante di consenso. In tutta l’isola furono realizzati diversi borghi, progettati esclusivamente da architetti locali che meglio conoscevano il paesaggio siciliano e quindi più competenti a non deturpare l’architettura della zona. I borghi non dovevano ospitare i contadini, ma servivano come centro della loro vita e di quella della piccola borghesia, da qui la progettazione della chiesa, della scuola, delle botteghe e di altri edifici utili nella quotidianità delle campagne.
Borgo Giuliano, chiamato così in onore di un militare caduto nella guerra d’Africa Orientale, fu costruito dall’architetto Guido Baratta e, come tutti gli altri, fu inaugurato dall’allora ministro dell’agricoltura Giuseppe Tassinari. Ma da subito la sua non fu una vita facile: solo dopo sei mesi dalla sua inaugurazione infatti si verificarono i primi di una serie di movimenti franosi dovuti all’instabilità del terreno che richiesero alcuni interventi di consolidamento. Poi lo scoppio della guerra, che trasformò la zona in un crocevia bellico importante: il borgo fu adattato alle esigenze delle truppe italo-tedesche, seguite dagli alleati.
Finito il conflitto le lungaggini burocratiche, la mancanza di fondi e altre difficoltà decretarono il definitivo declino dell’area, una città in cui la quotidianità sembra essersi persa in un limbo eterno.

Borgo Giuliano, il sogno di una nuova identità

Negli ultimi anni gli sforzi delle amministrazioni che si sono succedute sono stati orientati al recupero dell’area. Oggi quello che si presenta ai visitatori è un borgo fantasma, in cerca di una sua nuova identità che non tradisca il suo essere testimonianza importante dell’antica vocazione rurale della Sicilia e del messinese soprattutto, ma che possa guardare al futuro con uno sguardo diverso, alla ricerca di un volto certamente più meritevole.

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